Il mio servizio civile, vissuto a Capiz, nelle Filippine, è quasi giunto al termine.
Mancano una manciata di giorni, circa due settimane, e piano piano arriva il momento dei saluti.
Mi siedo un attimo in disparte e cerco di analizzare, di riavvolgere il nastro di quest’anno di servizio civile che ormai volge al termine.
Lo faccio mentre ancora lo sto vivendo, e questo da un lato mi impedisce di coglierne appieno le sfumature, ma dall’altro rappresenta un esercizio utile per non relegarlo subito nel cassetto remoto dei ricordi, una volta tornato, una volta che inizierà qualcos’altro.
Sono confuso su come definire l'avventura del servizio civile.
Posso dire che non è stato un anno fantastico in ogni sua sfaccettatura; o meglio, non credo, oggi, nelle esperienze che debbano per forza essere belle in ogni loro colore, o che ti facciano svegliare completamente diverso.
Alcune sono scritte con un inchiostro più denso, altre con uno più delicato ma indelebile.
Ecco, non ho ancora compreso con quale inchiostro sia stato scritto questo servizio civile che sta finendo.
Con questa consapevolezza, e cosciente che quest’esperienza dovrebbe essere un equilibrio tra un viaggio personale e il mettersi al servizio dell’altro, inizio a scrivere questo resoconto.
Se dovessi scegliere tre simboli che mi sono rimasti particolarmente nel cuore, con cui inizierei a raccontare il mio servizio civile, sceglierei: i tricycle, i carabao e i fish pond.
Tre immagini, tre elementi comuni nelle Filippine. Nella loro apparente banalità, li sento più adeguati rispetto a valori o simbologie sicuramente più profonde.
I tricycle rappresentano uno — se non il — mezzo di trasporto più frequente nelle Filippine.
Ogni provincia, ogni città, ha il suo tipo di tricycle; a volte, anche nella stessa città, li puoi trovare simili ma differenti: magari solo per un dettaglio.
È semplicemente una moto con attaccata, in modo artigianale, una struttura capace di trasportare di tutto: persone, oggetti, persino frigoriferi (esperienza personale).
Per me rappresentano tre elementi fondamentali di questa avventura: il viaggio, l’unicità e la versatilità.
Il viaggio, o meglio, l’essere sempre in viaggio, è segnato dai migliaia di chilometri percorsi, dalla scoperta continua di nuove realtà e dal non poter mai trovare una routine stabile.
L’unicità è una riflessione a cui tengo molto, che sembra banale ma non lo è: chiunque si incontri è estremamente diverso, e le categorie sono spesso strumenti forzati.
La versatilità, infine, si intreccia profondamente con gli altri due elementi: saper adattare il proprio “tricycle”, il proprio modo di essere, a ogni situazione e a ogni “passeggero”, senza però mai smettere di essere se stessi. Un equilibrio delicatissimo.

I carabao sono l’animale nazionale delle Filippine. Ha senso questa scelta? Non lo so, ma a me piacciono.
Sono animali utilissimi nel lavoro nei campi: forti, resistenti, in grado di svolgere molti compiti.
Eppure sono anche estremamente pigri: spesso li si trova all’ombra dell’unico albero disponibile a non fare assolutamente nulla, anche se liberi. Oppure immersi nel fango, a fare il bagno per rinfrescarsi.
Forse, la lezione che associo a questo animale è il saper trovare armonia tra il fare per gli altri e il prendersi cura di sé. Senza questo equilibrio, si rischia di fare male entrambe le cose.

I fish pond, gli stagni per pesci tipici delle Filippine, sono una presenza ricorrente nel paesaggio, sia nelle zone rurali che nei contesti urbani, dove talvolta si nascondono tra una casa e l’altra.
Silenziosi, immobili, ma incredibilmente affascinanti. Sempre lì, sullo sfondo, mai protagonisti. Quasi distanti.
Personalmente li trovo splendidi, e li considero una metafora significativa degli insegnamenti di questo anno di servizio civile.
A volte, infatti, è necessario accettare il ruolo di semplici osservatori. Possiamo conoscerne la funzione, la forma, persino i colori… ma questo non significa comprenderli fino in fondo, né che dobbiamo immergerci completamente in essi.

L’equilibrio, ancora una volta, sta qui: non pretendere di capire tutto, ma nemmeno usare questo come alibi per restare distaccati.
Imparare a guardarsi attorno, cogliere il panorama, e prendersi il tempo per provare a capirlo, anche solo in parte.
Cercando di raccontare il mio servizio civile con questi tre elementi, probabilmente mi sono perso.
Mi limito ad aggiungere alcune constatazioni, forse frasi fatte, che però sento vere. Magari saranno banalità.
Aiutare gli altri è semplicemente complicato.
E non bisogna pretendere che esperienze come questa siano per forza “life changing”, come spesso si sente dire.
Il cambiamento, se arriva, lo fa quando ci si dimentica di cercarlo.
Marco Aldo Maggiolini
Casco Bianco di Caritas Italiana a Capiz nelle Filippine e partecipante ai Cantieri della Solidarietà di Caritas Ambrosiana