Ora sono quasi le cinque del mattino. Il cielo mai silenzioso, stellato, stupendo a suo modo, si mostra sopra di me.
Le riflessioni le affronterò domani. Ora sono qui. In comunità. La prima notte qui. La prima notte di tante.
Sono nelle Filippine, in una collina, sotto a un cielo stupendo. Sono a Tag-Ao. Mentre due uomini hanno appena finito di sorseggiare Tanduay in uno dei pochi edifici accesi in questa notte.
Mentre alcuni dormono coscienti che questa sarà la loro ultima notte qui.
Non perché hanno l’intenzione di scappare; semplicemente perché è la conclusione naturale di un cerchio, già previsto e predestinato.
È strano lo so, sapere che anche a me toccherà questo destino. È strano preparare già gli arrivederci prima ancora di capire la giusta tonalità per fare i primi saluti. Eppure si fa così.
Eppure si è solo di passaggio e tutti sembrano saperlo, ma allo stesso tempo, nascondendolo attraverso genuini sorrisi lo ignorano e forse se lo dimenticano.
Oppure fanno finta. Mi riferisco alla comunità e ai suoi membri. Chiamati alla conservazione di tradizioni su un terreno che scivola, cambia e si sgretola sotto alla banale furia della pioggia che colpisce senza più sorprendere questa terra.
Una comunità, esseri umani che si riuniscono ogni tanto sotto lo stesso tetto, che è abituata a trovare e a volte creare una nuova strada per raggiungere la stessa meta.
Abituata a vedere sullo stesso coltello la lama della tragedia e quella dell’opportunità. Come fossero radici di nito che senza punti saldi nel terreno vengono intrecciate in oggetti quotidiani, in una ricerca costante di un'abitudine portatile.
Forse durante questo anno avrò modo di bagnarmi anch’io e di comprendere alcuni elementi di queste persone così simili così opposte a me.
Io nel silenzio della pioggia, quando è così forte da mettere a tacere tutto quanto, ad oggi trovo la pace.
Loro in questo silenzio probabilmente rivivono il rumore assordante di ricordi lontani che potrebbero trasformarsi in presente da un momento all’altro. Sono solo un attimo nella loro esperienza, come lo sono stati tutti, come lo sono anche loro per me.
Non sento di essere fatto per grandi gesti che cambiano radicalmente la loro condizione. Non sento di esserlo ancora.
Forse, almeno all’inizio, vorrei essere una pozzanghera costante in cui loro possano sentirsi perlomeno ascoltati.
Ogni membro della comunità è essere umano a suo modo e vedere, specchiandosi nei loro occhi, solo il silenzio distruttivo del tifone o la loro condizione di precarietà sarebbe solo un lavoro di depersonalizzazione e di associazione di termini come “vittime” o “poveretti” dimenticandosi che sono persone, con le loro differenze e le loro peculiarità.
È con questo modo di vedere il mondo intorno a me che vorrei affrontare la relazione con Tag-Ao. È così che vorrei affrontare le prossime notti qui.
È così che rifletto sotto a questo cielo stellato. Stupendo a suo modo.
Marco Aldo Maggiolini
Casco Bianco di Caritas Italiana a Capiz nelle Filippine e partecipante ai Cantieri della Solidarietà di Caritas Ambrosiana.