Tutto il mondo è paese - Le parole di Daniele, che ha vissuto l'esperienza del Servizio Civile all'Estero con Caritas Ambrosiana

Tutto il mondo è paese

Questo anno di servizio civile è volato. 

È stata una esperienza bellissima che sicuramente custodirò dentro di me.

Per molti quel piccolo paese schiacciato tra Ucraina e Romania che si chiama Moldova è assolutamente insignificante, ma per me ora è un posto che è legato per sempre a emozioni, esperienze e persone che mi faranno tornare un sorriso al solo pensiero.

Ho lavorato per un anno con l’organizzazione Diaconia, io sono stato una piccolissima parentesi nella sua storia e forse neanche così tanto significativa vedendone la complessità, però ci sono stato e ore posso dire di aver lasciato qualcosa in Diaconia come c’è un po’ di Diaconia in me.

L’organizzazione lavora per i bisogni che si riscontrano trasversalmente nel tessuto sociale: dai giovani volontari alle giovani mamme in difficoltà, dagli anziani con pensione irrisoria ai bambini piccoli, dai rifugiati ucraini di ogni età ad adolescenti con difficoltà familiari alle spalle.

Purtroppo, o per fortuna, non mi sono occupato di tutti questi aspetti, meglio fare poche cose ma buone (o almeno spero siano state buone), io mi sono occupato del coordinamento del gruppo dei giovani adolescenti volontari che scelgono di impiegare un po’ del loro tempo giornaliero o settimanale nelle attività dell’organizzazione. 

L’attività principale dei volontari è la Cantina Sociala Mobila: un furgoncino che tutti i giorni porta un po’ da mangiare a circa 100/150 anziani. 

Questa attività mi ha cambiato molto e mi ha aperto gli occhi su alcuni aspetti quando ne ho scoperto il vero valore: all’inizio ero concentrato sul cibo, su come far rispettare la fila agli anziani che lottavano per essere i primi, sul compito che avevo da fare di giorno in giorno; poi ho capito che il target di quella attività non era il cibo ma le persone.

Non dovevo guardare la zuppa marroncina sempre dello stesso colore ma la faccia delle persone che la prendevano, non il pane sempre secco ma le mani che lo afferravano, e ho notato che al contrario della zuppa e del pane i beneficiari avevano colori diversi, consistenze diverse, gusti diversi.

Ho cominciato così a guardarli negli occhi e ad apprezzare ogni sorriso, sempre con denti mancanti ma così genuini. 

Quando ho preso confidenza con la lingua riuscivo anche a parlare e a farmi raccontare le loro storie, a creare connessioni con quelli che io ho sempre chiamato “batranuti” (“anzianetti” in italiano). 

La vera svolta, tuttavia, non è stata quando io ho cominciato a cambiare le lenti con le quali guardavo i beneficiari, ma è stata quando ho notato che anche i volontari piano piano cambiavano le loro lenti per guardare la realtà.

I beneficiari del mio servizio sono stati sì i “batranuti” ma soprattutto i volontari.

Ragazze e ragazzi che hanno ben poco di diverso da noi, hanno l’incertezza adolescenziale sul loro futuro ma la sicurezza di poter cambiare il mondo, così diversi dai nostri adolescenti? Hanno la mente occupata dalle prime cotte e storie d’amore, così diversi da noi? Hanno anche la preoccupazione di avere il telefono o le scarpe sempre più fighi degli altri, così diversi da noi?

Poi non è importante se parlano russo, rumeno o italiano, se la gente per accoglierti ti offre il vino oppure il caffè, se per salutarsi è più frequente darsi la mano o baciarsi sulle guance. Alla fine tutto il mondo è paese.

Solo adesso mi sto rendendo conto di quanto quella realtà così diversa sia invece così uguale alla nostra, di quanto sia stato così facile inserirsi in quell’ambiente. Ho visto concretamente di quanto alcuni costrutti pensati a priori si distruggano di fronte alla semplicità delle persone.

Pensiamo spesso che culture diverse facciano fatica a parlare ma invece … tutto il mondo è paese.

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