Quando parti per andare dall’altra parte del mondo a fare Servizio Civile sei carico di energie e volenteroso di darti al 101%.
Ancora prima di arrivare nella tua nuova realtà già immagini che farai mille cose, che le tue giornate saranno piene e che sarai sempre lì a dare concretamente il tuo aiuto al prossimo.
Ed è così che cominci a vivere ogni giorno non fermandoti mai e correndo a destra e a manca per rispettare le tempistiche e renderti utile anche nei pochi momenti liberi che hai.
E quindi, dov’è il problema?
Si potrebbe pensare che questa sia l’essenza stessa del Servizio, ma…
Il problema è che poi succede che ti fai prendere dalla mera modalità del fare e ti dimentichi di essere…
Succede che sei così incentrato sul tuo lavoro che ti scordi di costruire relazioni.
Che sei spesso troppo indaffarato, stanco e magari un po’ scorbutico e non ti accorgi di quel singolo bambino che sta piangendo, laggiù nel cortile.
Cammini veloce con il telefono in mano controllando l’orario delle lezioni e non vedi la fatica che segna il viso alla signora che fa le pulizie o gli occhi cupi e preoccupati di quella maestra.
Se c’è una cosa che ho imparato in questo anno di Servizio Civile è il valore di sapersi fermare, di rallentare.
Di sedersi accanto a un bambino triste che è uscito dall’aula e di cui nessuno ha notato l’assenza.
Di chiedere “come stai?” a chi percepisci abbia bisogno di uno sfogo o di un conforto.
Alla fine sono questi i momenti che mi porto a casa e soprattutto nel cuore.
Quelli in cui ho messo le mani in tasca e sono semplicemente rimasta occhi negli occhi con chi, volontariamente o solo per caso, ha cercato il mio sguardo.