Sono passati poco più di due mesi dal mio arrivo nelle Filippine e non pensavo di vivere così tante esperienze in così poco tempo.
Molto spesso mi accorgo di essere assolutamente impreparata e sconvolta da ciò che mi circonda.
Per questo ho deciso di chiamare questi primi mesi il tempo delle “prime volte”; la prima volta che ho mangiato un cottonfruit o un jackfruit, la prima volta che sono andata al mercato cercando di parlare con i mercanti il poco Tagalog che ho imparato, la prima volta al cinema guardando un film in inglese, la prima volta che mi chiedono di fare una foto mentre sto nuotando in piscina.
Ma è anche la prima volta che faccio un “immersion”, ovvero vivo, dormo e condivido tre giorni interi con la comunità indigena Ati di Tagao, coinvolta in uno dei progetti di Caritas Italiana qui a Capiz.
Ci sarebbero mille cose da raccontare di questo tempo passato con loro, ma forse la realtà è che anche usando tutte le parole del mondo non riuscirei a descrivere le sensazioni che ho provato.
Certe esperienze possono solo essere vissute.
Una delle attività a cui abbiamo preso parte è la raccolta delle arachidi.
Non avevo nessuna idea di come fosse fatta una pianta di noccioline; qui ho scoperto che è bassa, senza fiori e inodore; le noccioline si trovano sotto terra attaccate alle radici, e per raccoglierle vanno strappate come le erbacce, afferrando la pianta vicino al terreno e strappando forte per prendere anche le radici.
Si inizia presto al mattino, alle 7 siamo già nel campo al lavoro; il caldo, fedele compagno, non ci abbandona mai.
Decidiamo di dividerci i compiti: Giovanni, mio partener in questa avventura, raccoglie e io strappo le noccioline e le metto in un sacco di iuta.
Accanto a me c’è JP, di 4 anni, che mi aiuta e ogni tanto si diverte a farmi gli scherzi.
Ho la sensazione di far parte di qualcosa di più grande, una famiglia.
Sento le voci degli adulti ridere e spettegolare e vedo i bambini divertirsi, correre nel campo e arrampicarsi sugli alberi, ma anche dare una mano.
Sembra uno spettacolo teatrale perfetto, ognuno conoscere il proprio ruolo, quello che bisogna fare. Ci si muove in armonia tutti insieme, donne, uomini, ragazzi e bambini. È un rituale complesso, risultato di anni di tradizione.
Sporcarsi le mani lavorando la terra e diventare tutti neri mentre si raccoglie il carbone, mangiare frutta raccolta dagli alberi mentre si cammina tra le case, osservare la vita di queste persone e lasciarsi trasportare da emozioni nuove e spesso contrastanti… mi sento diversa, straniera, fortunata, ma anche simile a queste persone e legata a loro in un modo che ancora non comprendo.
Voglio concedermi il tempo della scoperta, di andare lenta per apprezzare ciò che ho attorno e di permettere di lasciarmi sconvolgere.
Erica