Mi piace vivere in Libano, nonostante tutte le difficoltà. Quando lo dico alle persone che incontro mi prendono un po’ in giro, dal momento che il Libano sta affrontando una crisi senza precedenti.
Quello che un tempo veniva chiamata la Svizzera del Medio Oriente per la sua ricchezza ed il suo fascino è adesso un paese in cui le diseguaglianze sociali sono crateri. **
Nonostante ne sia perfettamente consapevole, ogni tanto quando cammino nel traffico di Beirut tutte queste cose le dimentico, mentre diventa più impellente chiedermi perché sia così difficile mettere una freccia per segnalare una svolta piuttosto che usare sempre il clacson.
Qualche giorno fa, invece, uno come un altro, ero in ritardo per un allenamento e avevo provato a chiamare ben due taxi prima di riuscire a salirci. Il tassista libanese che mi stava accompagnando si è subito mostrato in vena di chiacchierare.
Dopo le consuete domande, mi ha chiesto di dove fossi. Fin qui, tutto nella norma. Pochi secondi dopo, però, con non poca sorpresa, mi ha chiesto quale fosse la situazione in Italia e se, secondo me, ci fossero possibilità di lavorare come parrucchiere.
Ci ho messo un po’ a capire la ragione di quella domanda. Se n’è accorto e ha cominciato a raccontarmi che fare il taxista era un ripiego di mille altri ripieghi. Era un parrucchiere e voleva fare quel mestiere fuori dal Libano.
Mi ha raccontato che stava provando ad ottenere un visto per il Canada, magari anche per l’Europa. “Sai, per sei anni sono stato nell’esercito, in un dipartimento speciale. Qualche anno fa mi hanno mandato sul confine con la Siria perché Daesh stava avanzando drammaticamente verso i nostri confini.”
Fermi nel traffico mi mostra il braccio destro. Una lunga cicatrice, impossibile da non vedere, nemmeno al buio. “Mi hanno sparato, vedi? E poi qualche mese dopo mi è esplosa una bomba davanti agli occhi. Alla fine ho deciso di lasciare.”
Sono ancora impacciata davanti al dolore degli altri, così ho deciso di sussurrare un banale, ma sincero “mi dispiace”. Dopo qualche attimo di silenzio, ho provato a rimettere alla prova il mio arabo dicendogli che quasi tutte le persone che conosco vogliono andare via.
È dura dover lasciare il proprio paese, la propria casa, gli ho detto.
Lui ha incrociato il mio sguardo nello specchietto e mi ha detto “No, no. Io ho rischiato la vita per questo Paese più volte, e cosa ho avuto? Uno stipendio che è una miseria, mi faceva sopravvivere a mala pena, uno stipendio che con l’inflazione non è mai cresciuto. Non mi importa più di rimanere qui.”
Arrivato a quel punto, non mi sono più tirata indietro e gli ho chiesto “Allora perché lo hai fatto? Perché sei entrato nell’esercito?” Mi ha risposto chiedendomi secondo me quanti anni avesse. Aveva 26 anni.
“Sono entrato nell’esercito a 17, fondamentalmente perché non andavo bene a scuola, studiare non mi interessava e non sapevo che altro fare. Poi sì, anche un po’ per patriottismo. Ma adesso non mi importa più, voglio solo andare via.”
Sono arrivata a destinazione e quella conversazione è dovuta finire. Così, troncata, senza risposte, senza la possibilità di fare altre domande.
Per giorni ci ho pensato e per giorni ho continuato a interrogare tutte le mie convinzioni. Mi sono chiesta che cosa succede quando, sul fondo del vaso di Pandora, anche la speranza è finita. Forse semplicemente, davvero, si va via.
**Per dare qualche dato: Secondo alcune ricerche di Human Rights Watch condotte tra novembre 2021 e gennaio 2022, il 70% della popolazione libanese non riesce a fare quadrare i conti a fine mese o non riesce a provvedere alle spese di base (riscaldamento, vestiti, istruzione, materiale e mense scolastiche, trasporti, medicine, affitto o mutuo da pagare).
L’inflazione della lira libanese galoppa a fronte dei salari rimasti pressoché invariati: il 40% della popolazione guadagna circa 100$ al mese, complessivamente il 90% meno di 400$ al mese.
Dal sistema di aiuti, scarsissimo, rimane interamente fuori la classe media e quella a basso reddito. Sempre perché piove sempre sul bagnato, la guerra in Ucraina ha assestato un’altra bella bastonata all’economia del paese, che importava l’80% del suo fabbisogno di grano proprio da lì.