Sono Arianna, direi che sono una persona che si sta ancora scoprendo, e il Servizio Civile all’Estero ha qualcosa a che fare con questo.
Avevo scelto il Libano come destinazione iniziale per ragioni di vicinanza personale e ideale: sono cresciuta in Calabria (anche se non ci sono nata) e al Mediterraneo sento di appartenere, per la varietà di identità che lo abitano e insieme anche per quel qualcosa in comune, che sia anche “solo" una distesa di acqua salata che unisce e crea da secoli legami e scambi.
Il fatto di vivere ai margini dell’Italia, se escludiamo le isole che fanno parte a sé stante, è stato per me motivo di riflessione e spesso di fatica personale. Per quanto sia ben consapevole ormai di essere stata una privilegiata per molte cose, credo che la difficoltà oggettiva di essere cresciuti nella regione una volta definita più povera d’Europa (fonte: Internazionale) mi permetta di condividere anche per qualche secondo certe difficoltà, soprattutto di ordine sociale e culturale.
Post colloquio in Caritas sono infine “approdata” alla Moldova, e qualcosa del progetto che Sergio mi ha proposto mi ha subito attirato. Il lavoro nel centro maternità e nella comunità di accoglienza per giovani donne, la possibilità di girare nei villaggi e di vivere a contatto con un popolo a me per lo più sconosciuto, poi la vicinanza a una frontiera difficile, che a volte respinge e che fa paura, ma che spero tanto più spesso accolga e conforti.
Sono cresciuta in una famiglia a forte stampo patriarcale, che naturalmente era retta, nella gestione pratica della casa e nella sfera emotiva, dalle donne: senza le loro attenzioni, cura e sacrificio non ci sarebbe stato un granché. So quanto sia essenziale il lavoro e la presenza di tutti al mondo, a prescindere da differenze di genere e di qualsivoglia gusto o tendenza, ma a mie spese ho visto come spesso, a certe latitudini e circostanze, siano le donne a vivere per procura.
Solo ultimamente ho imparato che il sacrificio porta spesso ad arricchire qualcun altro impoverendo se stessi, quantomeno quel tipo di estrema immedesimazione e rinuncia di sé per cui poi si diventa invisibili, e inutili. Nel mio lavoro da SCE, spero di portare con me in Moldova, e di trasmettere, l’amor proprio che non è mai lontananza dall’altro, e quindi frontiera invalicabile o conflitto, ma primo principio di dignità e cura personale da cui partire per dare a chi ne ha bisogno una mano, un orecchio, una sedia, o due occhi partecipi.
Gli occhi mi servono anche per fotografare, soprattutto soggetti e vite che mi rimandano a persone e luoghi della mia esistenza. Sono convinta che nessuno sia totalmente trasparente a se stesso, e che un buon occhio esterno non giudicante possa essere una porta nuova da attraversare a cui non avevamo pensato. O un ponte per avvicinarsi un po’ di più a chi si ha davanti e trattenerlo con sé.
L’estetica e la spiritualità (non per forza religiosa in senso stretto) hanno la loro enorme parte nel mio cammino, sarà anche che la maggioranza dei miei parenti stretti ha lavorato nel campo dell’arte e nel restauro; in casa mia circolano icone e monaci ortodossi da quando sono bambina: entrare in chiesa in Moldova -col velo in testa- sarà una delle esperienze più intime che sono sicura farò nel Paese.
Nel mio anno all’estero, come in tutti quelli che verranno di qui in avanti, tenterò di riuscire a scoprirmi un po’ di più e ad affidarmi al flow, come si dice, all’intuito, nonché ai miei compagni di viaggio; infine, a riportare indietro con me amicizie e pezzetti di altre vite a compormi, ancora più varia e radicata in me stessa.
Arianna